Oggi noi dobbiamo resistere alle tentazioni facili del chiudere finché serve

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(Articolo Piazza Pinerolese – http://www.piazzapinerolese.it/2020/03/23/leggi-notizia/argomenti/economia-e-lavoro-4/articolo/oggi-noi-dobbiamo-resistere-alle-tentazioni-facili-del-chiudere-finche-serve.html)

La lettera del sindacato pinerolese Fali sul tema dello stop alle fabbriche

Gentile Direttore, mi permetto di inviarle una considerazione sull’attuale situazione ed una riflessione sul prossimo futuro, alla luce della decisione del governo di chiudere buona parte del mondo industriale.

Una considerazione complessiva sull’attuale crisi è umanamente difficile, ma si deve avere anche il coraggio di essere una voce fuori dal coro in questi giorni in cui, parte della politica e buona parte del variegato mondo sindacale sostengono con forza, senza guardare alle conseguenze complessive sul sistema-paese.

Il tema è drammaticamente semplice da affrontare se si guarda alla salute pubblica: tutto il mondo industriale si deve fermare, ovviamente, se non strategico al mantenimento dei servizi considerati essenziali.

Il discorso è più complicato e difficile da affrontare se si prova a pensare a quali saranno le ripercussioni economiche.

Già nelle scorse settimane ho avuto modo di esprimere il mio disagio a riguardo, auspicavo un intervento governativo fatto con logica e gradualità non come sta avvenendo in modo perentorio quanto confuso.

Oggi stiamo combattendo un emergenza straordinaria, un’emergenza che provoca morte e mette a rischio il sistema ospedaliero nazionale; questa è oggi l’unica emergenza che conta superare.

Purtroppo un ma c’è ed è spaventoso: passata la fase epidemica, la situazione industriale ed economica in generale sarà molto probabilmente vicina al collasso.

Punto l’attenzione sulla situazione industriale perché l’industria sarà, secondo me, l’unica che potrà far ripartire il paese. Ne sono convinto, perché se anche molti paragonano la crisi economica da pandemia a quella post-bellica, c’è un punto essenziale di differenza che, a mio giudizio, viene sottovalutato.

Il dopoguerra ha fatto ripartire l’economia non solo dalla produzione industriale, ma anche e soprattutto da una grande ricostruzione del paese: macerie da rimuovere, case, ospedali e fabbriche da ricostruire, strade da rifare, ferrovie da ripristinare ed ampliare, il tutto con la creazione di un numero altissimo di posti di lavoro in un lasso di tempo non brevissimo, e non dimentichiamo l’ammodernamento ed il rafforzamento del settore agroalimentare.

Domani non sarà così, non c’è nulla da ricostruire, avremo solo tante persone senza lavoro; si stimano, secondo alcuni studi, numeri peggiori rispetto al post 2008, e l’unico elemento trainante sarà l’industria. Quell’industria italiana che potrebbe perdere fette di produzione perché, in alcuni casi, le multinazionali potrebbero decidere di dirottare altrove le produzioni di rapida sostituibilità, specialmente in Cina, accelerando una tendenza già in essere.

Inoltre, c’è un’altra considerazione da tenere presente: in Europa, terminata la fase acuta dell’epidemia, i paesi faranno a gara per rilanciare le loro aziende e la loro occupazione, e le tante multinazionali sfrutteranno i provvedimenti governativi che daranno maggiori agevolazioni e stimoli. In questo contesto post-pandemico l’Italia sarà uno stato tra i più indebitati e impossibilitato a immettere denaro quanto gli altri paesi. Le imposte quasi sicuramente saliranno e molti servizi pubblici non potranno che peggiorare rispetto al periodo antecedente al coronavirus. Quando si tornerà a parlare di economia e finanza, il caso Italia, oggi visto in positivo e con benevolenza causa emergenza e misure di contenimento adottate, verrà nuovamente presentato come un caso disperato.

Se oggi chiudere le aziende per un periodo di due settimane comporterà già un grosso deficit per la ripresa, una chiusura maggiore comporterà un rischio di difficile ricomposizione.

Oggi noi dobbiamo resistere alle tentazioni facili del chiudere finché serve, perché molte delle chiusure temporanee di oggi, a breve, potrebbero diventare definitive; dobbiamo mantenere un minimo di continuità produttiva in sicurezza e dobbiamo provare a lavorare e finché c’è richiesta dal mercato, almeno per i clienti esteri, perché fermarsi troppo a lungo ed anticipatamente rispetto al calo della domanda non può che peggiorare ancora il rischio di riduzione della presenza industriale nel nostro paese nel prossimo periodo.

Si deve avere coraggio, il coraggio di coniugare la sicurezza sanitaria di oggi con la sicurezza del lavoro di domani, e questo lo si può fare solo con un ampio senso di condivisione tra le parti. si può e si deve fare, ma ci vuole buona volontà e capacità di continuità lavorativa, almeno minima, in sicurezza.

Ivan Verney

Segretario generale Fali