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Sul lavoro troppi divari
Occorrono uomini a sostegno della parità

Reclutare uomini per sostenere l’uguaglianza di genere. Quanto è ancora grande il divario? Negli ultimi 20 anni in Italia c’è stato un notevole miglioramento in ambito di parità di genere, ma il nostro paese rimane in 14sima posizione tra i 28 paesi membri (Eige – Gender Equality Index 2017). Nel 2018 è ancora necessario concentrarsi sulle differenze di genere, anche se sono trascorsi 70 anni da quando in Italia fu riconosciuto il suffragio universale.

Rendere il “tema di genere” visibile agli uomini è il primo passo per coinvolgere gli uomini stessi a sostenere l’uguaglianza di genere, perché senza affrontare il senso di innata titolarità attribuito agli uomini dalla società non capiremo mai perché così tanti uomini resistono all’uguaglianza di genere.

Dal congedo di maternità a #SayNoStopVaw a #MeToo, le donne che lavorano in tutto il mondo stanno affermando sempre più il loro diritto a essere trattate equamente e in modo giusto sul posto di lavoro. Nei paesi dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), tuttavia, affrontano ancora disuguaglianze quando si tratta di lavoro. Poiché le donne sono più propense degli uomini a prendersi una pausa dal lavoro e le loro interruzioni hanno più probabilità di durare più di un anno, sono particolarmente colpite dalla pena di disoccupazione, che si riflette nel divario retributivo di genere.

Circa il 62% del lavoro femminile italiano ogni giorno non è retribuito (World Economic Forum). Le donne in Italia lavorano in media più degli uomini – 512 minuti al giorno rispetto ai 453 minuti – ma hanno più probabilità di essere disoccupate o di lavorare part-time. In Italia non solo permane il divario retributivo, ma le donne continuano anche a essere sottorappresentate e ad avere meno opportunità nella leadership, rappresentando solo uno su cinque dei posti nelle più grandi società quotate in borsa dell’OCSE, secondo un nuovo rapporto di PricewaterhouseCoopers (PwC). Nel 2018 il World Economic Forum mostra i seguenti dati: solo il 31% dell’ultimo parlamento italiano era di sesso femminile, posizionando il nostro paese sotto Ecuador, Angola e Bielorussia per citarne solo alcuni. Ancor meno il gabinetto era costituito da donne: il 28%, con assegnazioni prevalentemente in salute e istruzione. Il numero di primi ministri o presidenti femminili in Italia, nel frattempo, è un pesante zero. Inoltre, le donne hanno costituito un misero 16% di organi decisionali nel 2017, afferma l’Istat. Poco meno del 34% dei componenti del consiglio di amministrazione delle società quotate era di sesso femminile, dopo che l’Italia ha introdotto una quota che richiede che le commissioni includano almeno il 33% di donne. Proprio sulle quote rosa ci sarebbe molto da discutere… se nella nostra società la cultura dell’uguaglianza fosse prassi, gli unici metri di giudizio sarebbero competenza e merito. Questi sono i parametri che una società rispettosa dei diritti degli uomini porterebbe avanti. Le minoranze non sono una quota da essere inserita obbligatoriamente. Tutti facciamo parte della stessa comunità, società in egual modo e tutti abbiamo diritto all’opportunità di poter prendere decisioni, lavorare e avanzare di carriera senza discriminazione alcuna.

Ma guardare la sola differenza di retribuzione non basta. Non importa quanto si cerchi di eliminare altre variabili, la differenza di salario non potrà mai raccontare l’intera storia. Euro e centesimi non sempre mostrano le vere sfide che gruppi (discriminati) vivono quotidianamente sul posto di lavoro. Per non parlare del fatto che il semplice confronto tra due stipendi non riconosce il fatto che le donne spesso iniziano con i salari più bassi in primo luogo. E per rispondere ai tanti che purtroppo ancora credono che l’uguaglianza di genere costi denaro: il rapporto della PwC conferma che, se le maggiori economie mondiali accostassero la loro forza lavoro alla Svezia, che ha un tasso di occupazione femminile del 69%, il guadagno totale del Pil globale potrebbe essere di 6 trillioni di dollari.

Le persone in gruppi storicamente emarginati, comprese le donne, subiscono pregiudizi impliciti ed espliciti sul posto di lavoro. In modi che sono difficili da misurare, questi pregiudizi creano disuguaglianza (sebbene siano, ovviamente, chiaramente evidenti a coloro che li vivono). Queste disparità influenzano la vita quotidiana e la traiettoria di carriera a lungo termine, oltre ai salari. Non possiamo dare pari poteri alle nostre donne e ragazze se non coinvolgiamo i nostri ragazzi e uomini. Le disparità non sembrano sempre palesi atti di discriminazione. Più spesso, assumono la forma di “microaggressioni”, che contribuiscono a problemi sistemici più ampi che si presentano in altri tipi di lacune.  Si sa, il privilegio è invisibile a coloro che ne godono e questo è ciò che accade agli uomini della nostra società.

Il problema più evidente invece riguarda la violenza di genere e le molestie che rimangono diffuse. Nel 2017, 121 donne in Italia sono state uccise, secondo i dati della polizia. Nel 59 percento dei casi, l’assassino era un ex partner o attuale e l’81 percento degli omicidi avveniva a casa o in un contesto familiare. La polizia ha gestito 4.261 casi di violenza sessuale, di cui il 54% ha avuto luogo per strada o in auto. Circa 3,5 milioni di donne in Italia sono state vittime di stalking almeno una volta tra i 16 ei 70 anni, pari al 16% di quella fascia di età. Secondo l’Istat, 2,2 milioni sono stati perseguitate da una ex. Quasi la metà delle donne adulte italiane ha subito qualche forma di molestia sessuale, afferma l’Istat. Si stima che 8,2 milioni di donne italiane tra i 14 ei 65 anni – quasi il 44% – abbiano subito molestie sessuali durante la loro vita, perpetrate nel 97% dei casi da uomini. Circa 1,4 milioni di donne, o poco meno del 9% della fascia di età, hanno riferito di aver subito molestie fisiche o ricatti sessuali sul posto di lavoro.

Le discriminazioni, accentuate ancora di più in ambito lavorativo e soprattutto la violenza, sono lo specchio di una società la cui cultura fa ancora fatica ad accettare l’uguaglianza come diritto fondamentale dell’essere umano.

L’inclusione è spesso vista come mera parola d’ordine, ma è la base su cui si fondano le migliori dinamiche sociali. L’uguaglianza di genere riguarda tutti noi, donne e uomini. Avere equilibrio di genere nella società, in politica e sul posto di lavoro è una caratteristica essenziale di una democrazia stabile e trasparente. Non solo incoraggia lo sviluppo economico, ma promuove anche il benessere generale e conduce a un’Europa più inclusiva ed equa sia per le donne che per gli uomini. Le donne, così come tutti, in tutta Europa hanno diritto all’uguaglianza e alla sicurezza, ma per troppi questi diritti non sono ancora una realtà.

Oggi gli uomini devono impegnarsi a sostenere l’uguaglianza di genere non solo perché è giusto, ma perché permetterà alle donne di essere più sicure, di esercitare il loro potere personale e sociale e perché si possa essere ispirati a essere uomini migliori. Questo a sua volta significa che avremo tutti una vita migliore.

Lo scrittore newyorkese Floyd Dell che ha contribuito all’avvio della Lega degli uomini per il suffragio femminile scrisse “Il femminismo renderà possibile per la prima volta che gli uomini siano liberi”.

Premio in Fca e Cnhi, ma rischio rottura

In Fca e Cnhi rispettivamente 880 e 704 euro di saldo premio 2015-2018, ma rischio rottura con cnhi nella trattativa di rinnovo del contratto. Il 6 marzo nell’incontro tenutosi a Torino, è stato reso noto che con la busta paga di marzo sarà pagato un saldo del premio quadriennale di redditività gruppo di 880 euro medi in Fca (che corrisponde al raggiungimento del 90% degli obiettivi) e di 704 euro medi in Cnhi (che corrisponde al raggiungimento dell’86% degli obiettivi). Per la prima fascia gli importi sono rispettivamente di 820 e di 656 euro, mentre per la terza fascia di 1.080 e di 864 euro. Si tratta peraltro di importi tassati con l’aliquota di favore del 10% al posto di quella ordinaria.

Questa è l’ultima spettanza dell’accordo del 2015 che si è rivelata quindi un’ottima intesa ha generato un montante complessivo nell’arco degli ultimi quattro anni di 6.759 euro in Fca e di 5.196 euro in Cnhi.

Il segretario generale Fismic Confsal Roberto Di Maulo: “Nonostante la negatività riscontrata nel 2018 causata dalla contrazione generalizzata del mercato, il contratto specifico garantisce ai lavoratori una crescita della retribuzione ben più ampia di quanto prevede il contratto nazionale dei metalmeccanici. L’importo totale che riceveranno i lavoratori del gruppo Fca Cnhi è ben oltre quanto sarebbe stato garantito loro se fosse stato applicato il ccnl metalmeccanici. Smentite dai fatti e non dalle parole, le bugie che la Fiom sta cercando di propinare ai lavoratori”.

Per quanto, invece, riguarda la trattativa di rinnovo del Contratto collettivo specifico di Lavoro con Fca, Cnhi e Ferrari sono stati fatti grandi passi in avanti sulla parte normativa, ma con Cnh Industrial si rischia la rottura a causa della richiesta di quest’ultima di modificare in peggio il sistema premiale, vanificando così quanto di buono fatto nel 2015. “Abbiamo avuto una lunga e dura discussione con Cnhi ma non siamo ancora riusciti a trovare un punto di incontro” dichiarano unitariamente i sindacati Fim, Uilm, Fismic, Uglm, Aqcfr.

“La presa di posizione di Cnhi è stata per noi tanto più grave in quanto è venuta dopo due giorni di serrati confronti con la stessa Cnhi, con FCA e con Ferrari, in cui le parti hanno cercato di trovare una soluzione a tutti i più delicati nodi della parte normativa. Su questi ultimi è stata trovata una intesa di massima, con qualche aspetto da definire, che in ogni caso ora attende di essere tradotta in testi definitivi. Infine attende una risposta la nostra richiesta di incrementi salariali in paga base, che come noto ammonta al 10% a regime in quattro anni. Speriamo che al prossimo incontro di lunedì 11 marzo Cnhi dimostri di avere autentica volontà di rinnovare il Ccsl e di non voler penalizzare ingiustamente i suoi dipendenti” concludono i sindacati.

 

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