SALUTE E SICUREZZA, CENNI STORICI

FCA: DI MAULO (FISMIC CONFSAL), TAVOLO DI CONFRONTO PER NON ABBANDONARE I LAVORATORI
31 Ottobre 2017

Nella prima metà del XIX secolo, l’avvento della grande industria e la formazione del capitalismo determinarono, da un lato la divisione tra capitale e il lavoro, e dall’altro il distacco tra il lavoratore e l’imprenditore. Si delineò, quindi, quel complesso fenomeno politico-economico individuato nella “questione sociale. L’industrializzazione permise un notevole progresso economico, accompagnato però da un forte aumento del costo della vita, con conseguente crescita della miseria dei prestatori di opera, i cui salari erano insufficienti a soddisfare le più elementari esigenze di vita. Ciò portò i lavoratori all’ineluttabile necessità di associarsi per resistere alla “dittatura contrattuale” degli imprenditori.

I pubblici poteri, intanto, cominciavano ad avvertire l’urgenza di qualche intervento per assicurare più umane condizioni di lavoro. Veniva promulgata nel 1886 la legge di tutela del lavoro dei fanciulli negli opifici, nelle cave e nelle miniere. Nel 1899 veniva assicurata la tutela dell’integrità fisica del prestatore d’opera con il Regolamento generale per la prevenzione degli infortuni (RD 18 giugno 1988 n. 230).

Nel nuovo regno d’Italia, i sindacati nacquero come “coalizioni di mutuo aiuto e difesa”, con lo scopo di regolare la concorrenza tra i lavoratori bisognosi di lavoro alleviando le condizioni di inferiorità degli stessi di fronte agli imprenditori.

Con la costituzione della Confederazione Generale del Lavoro nel 1906, prevalentemente orientata verso un socialismo riformista, il movimento sindacale cominciava ad operare per l’elevazione del proletariato.

Lo Stato, dalla sua posizione iniziale di indifferenza, si avviava verso una più decisiva tutela del contraente più debole del rapporto di lavoro. La legislazione precettiva acquistava un accelerato ritmo di produzione.

Tra le principali norme, ricordiamo quelle dirette a una più efficace tutela sanitaria (1902), alla difesa degli emigrati (1902-1903-1913), alla tutela delle donne e dei fanciulli (1902-1907), al lavoro delle mondine nelle risaie (1902), al miglioramento delle assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro, all’istituzione della Cassa di invalidità e vecchiaia per gli operai, fino all’istituzione nel 1912 del Servizio di Ispezione del lavoro.

Come detto, nella lotta tra capitale e lavoro, lo Stato abbandona la sua neutralità assumendo il compito di armonizzare e regolamentare i rapporti sia nel campo professionale e sociale che in quello economico e produttivo.

Nei primi anni del XX secolo la legislazione operaia, benché assai rudimentale, non trovò nessuna applicazione per l’insufficiente intervento dello Stato nel settore della vigilanza.

Era un fatto triste e notorio che anche quel minimo di legislazione di tutela esistesse solo sulla carta, risolvendosi di fatto un una dolorosa irrisione.

Tuttavia un fatto determinante si verificò il 15 aprile 1904, con la stipula a Roma della Convenzione Italofrancese, per regole la protezione degli operai nazionali che lavoravano all’estero, la quale sancì il principio di organizzare in tutto il Regno un servizio di vigilanza funzionante sotto l’autorità dello Stato.

La legge n.380 del 1906 è considerata istitutiva dell’ispettorato del lavoro. Viene a costituire i primi tre Circoli di Ispezioni di Torino, di Milano e di Brescia. Con la legge 22 dicembre 1912 n. 161, nasce l’Ispettorato del lavoro vero e proprio come noi oggi lo conosciamo.

Nella legge n.161 le funzioni assegnate all’organo furono distinte in:

° obbligatorie: di vigilanza sull’applicazione delle leggi del lavoro e di studio dei problemi operai;

° facoltative: di prevenzione e risoluzione pacifica dei conflitti di lavoro, quando invitati dalle parti.

Venne quindi sancito l’obbligo di “obbedienza agli ispettori e il “diritto” di questi ultimi di elevare contravvenzioni per le infrazioni accertate. Fu attribuita agli ispettori la “facoltà” di visitare in qualunque ora del giorno e della notte tutti i luoghi di lavoro, sottoposti alla loro vigilanza.

Nel periodo post-bellico che seguì la grande guerra, la legislazione sociale si sviluppò notevolmente affermando, quale diritto primario del proletariato, il principio di tutela dell’indigenza.

All’entrata in vigore della Carta del lavoro fascista – la quale sancì l’obbligo per gli organi dello stato di sorvegliare l’osservanza delle leggi sulla prevenzione degli infortuni e la polizia del lavoro – seguì l’istituzione dell’ispettorato corporativo con il RD 28 dicembre 1931, n.1684 che ampliò grandemente il campo d’intervento assumendo la funzione di vigilanza per l’attuazione di tutta la legislazione del lavoro nelle aziende industriali, commerciali, negli uffici, in agricoltura.

Significativa per la tutela della salute, fu la legge 26 aprile1934, sulla protezione delle donne e dei fanciulli, con precise disposizioni sul trasporto a sollevamento pesi.

Risale al 1926 la costituzione dell’Associazione nazionale per il controllo della combustione – preposta alla verifica degli impianti termici – sancita dal RDL n. 1331 09 luglio 1927, ove vennero stabilite le norme per la disciplina della ricerca e la coltivazione delle miniere.

Ma il grande balzo avanti si ebbe con l’approvazione del codice penale che all’art. 47, tuttora vigente, introdusse la fattispecie del delitto di rimozione o omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro.

Inoltre, il codice – approvato in pieno conflitto mondiale, con RD 16 marzo 262- – sancì artt. 589 e590 le fattispecie di omicidio colposo e di lesioni personali colpose. Reati configurabili nelle ipotesi infortunistiche occorse in azienda per inosservanza delle disposizioni sulla sicurezza del lavoro o per la violazione del principio generale di tutela delle condizioni di lavoro posto dall’art. 2087 del nuovo codice civile.

La Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in vigore il 1°gennaio del 1948, permeata di spirito sociale, rispondeva alle istanze più profonde del popolo italiano, espresse dai partiti che si riaffacciavano sulla scena politica del dopoguerra, in una atmosfera incandescente ricca di contrasti spirituali, sociali ed economici.

Lo Stato si qualifica preliminarmente, all’art.1, in un triplice modo: come Repubblica, fondata sul lavoro, attributo quest’ultimo di significato storico-dogmatico e politico programmatico, indicante il carattere che lo Stato deve auumere. Il lavoro viene elevato a nucleo fondamentale della struttura statuale.

Emerge tra le disposizioni l’art.41, il quale afferma che, premesso che l’iniziativa economica privata di libertà, “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale e in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà e dalla dignità umana”.

Lo spopolamento delle campagne e l’inurbamento nelle grandi città con il lavoro in fabbrica, nella seconda metà del XIX secolo, spronava il Parlamento del giovane Regno di Italia ad affrontare la questione sociale e la triste piaga degli infortuni del lavoro, in crescita esponenziale, determinati dall’industrializzazione.

Dobbiamo al ministro dell’agricoltura, dell’industria e del commercio Francesco Gucciardini l’approvazione da parte del Parlamento della legge 17 marzo 1898, n.80, essa introduceva nel sistema normativo del regno, l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, volto a fronteggiare attraverso l’indennizzo il dilagante fenomeno degli infortuni sul lavoro che lasciava agli operai rimasti invalidi, e le famiglie dei deceduti, privi dei mezzi di sussistenza.

Con il Regio Decreto 17 agosto 1935 n.1765 veniva sancito il carattere pubblicistico dell’assicurazione e venivano introdotti i pilastri dell’attuale sistema normativo: dalla costituzione del rapporto assicurativo per tutti i lavoratori, attraverso la contribuzione delle aziende, all’erogazione delle prestazioni sanitarie e di cura e riabilitazione, alla liquidazione delle rendite ai mutilati ed invalidi del lavoro.

Il lavoro costituisce il principale mezzo di sostentamento. È l’espressione più alta della capacità dell’uomo a concorrere al benessere della collettività. Dopo la terribile guerra mondiale, il legislatore repubblicano mise mano alla realizzazione di un “corpus” normativo prevenzionale, i cui principi basilari tuttora validi con riguardo alla protezione tecnologica delle macchine e delle attrezzature, sono stati trasferiti nel recente Testo unico sulla Sicurezza sul Lavoro.

I negoziatori del Trattato di pace che mise fine alla prima guerra mondiale 1914-1918 decisero di fondare, allo stesso tempo della Società delle nazioni chiamata a prevenire i rischi di nuovi conflitti, un’organizzazione permanente per la protezione ed il miglioramento delle condizioni dei lavoratori.

Nacque così, nel 1919, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Era la prima istituzione internazionale dove lavoratori, datori di lavoro e governi erano riuniti per esaminare su un piano di eguaglianza, sul palcoscenico mondiale, le questioni afferenti il lavoro dell’uomo.

È principalmente attraverso le norme internazionali del lavoro, le convenzioni, le raccomandazioni, che il BIT (Bureau International du travail), avente sede a Ginevra, contribuisce a promuovere il progresso sociale.

Le convenzioni sono accordi internazionali che fissano gli obiettivi alle politiche nazionali o stabiliscono norme di lavoro. In maniera generale le norme nazionali del lavoro hanno contribuito a far riconoscere a livello mondiale l’importanza dei diritti economici e sociali dell’uomo lavoratore

Queste convenzioni disciplinano la durata del lavoro giornaliero e settimanale, l’età minima d’ammissione all’impiego, la regolamentazione del lavoro notturno delle donne e dei minori di età nell’industria, la protezione delle lavoratrici madri, la protezione dei lavoratori contro il carbonchio, contro il saturnismo, contro i rischi derivanti dall’impiego del fosforo bianco nella fabbricazione dei fiammiferi, ecc. come pure tutelano i lavoratori e la popolazione dai grandi rischi industriali.

Nel 1947 la Commissione adottava la Convenzione (n.81) sull’ispezione del lavoro, applicabile all’industria e commercio e la relativa raccomandazione.

L’opera di stabilire regole per le ricostruzioni del Paese nel periodo post – bellico decollava con la delega del Parlamento al Potere esecutivo (legge 12 febbraio 1955, n.51) volta ad emanare norme generali e speciali in materia di prevenzione degli infortuni ed igiene del lavoro.

La delega che aveva la durata di un anno non fu totalmente utilizzata.

Possiamo dire che le disposizioni principali che hanno costituito per mezzo secolo i pilastri della tutela fisica dei lavoratori sono le norme per:

  • La prevenzione degli Infortuni (DPR 547/1955);
  • L’igiene del Lavoro (DPR 303/1956);
  • La sicurezza sul lavoro nelle costruzioni (DPR 164/1956).

Un salto di qualità nella legislazione sulla prevenzione infortuni e l’igiene del lavoro viene compiuto dalla Comunità europea in attuazione del Trattato di Roma del 25 marzo 1957.

La scelta della tutela della salute dei lavoratori comunitari si imponeva, nell’ottica dell’organizzazione del grande mercato sovrannazionale, in vista della creazione degli Stati Uniti d’Europa. La motivazione più nobile dell’intervento comunitario era volta ad assicurare una più elevata qualità della vita dei cittadini europei. A ciò si aggiungeva l’interesse di ridurre l’enorme costo sociale degli infortuni e delle malattie professionali ed assicurare una parità di condizioni concorrenziali tra le imprese comunitarie in ordine ai costi della sicurezza sul lavoro.

Lo strumento giuridico impiegato per attuare i principi del Trattato è la direttiva. Le direttive emanate seguono due filoni: le direttive c.d. di mercato e le direttive di tutela della salute nei luoghi di lavoro. Le direttive di mercato comprendono quei provvedimenti indirizzati ai fabbricanti come la direttiva macchine, la direttiva sui dispositivi individuali di protezione e la direttiva di bassa tensione afferente il prodotto elettrico. Quelle di tutela sono la direttiva madre, o direttiva quadro e, le sue direttive particolari di attuazione o direttive figlie.

La direttiva madre è la n. 89/391 CEE del Consiglio dei ministri 12 giugno 1989, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori, durante il lavoro.

Queste direttive sulla tutela della salute e sicurezza del lavoro vengono recepite nell’ordinamento nazionale con D.Lgs. 9 settembre 1994, n.626, il quale trasformerà il sistema di tutela nazionale, basato sulla prevenzione tecnologica, introducendo il principio dell’organizzazione e gestione in sicurezza dei processi lavorativi.

Il sistema di sicurezza globale nei processi produttivi, tracciato dalle direttive europee, viene trasposto nell’ordinamento nazionale con il D. lgs.626/1994.

Con il D. Lgs. 626 si sblocca la crescita della legislazione di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Ricordiamo fra tutte le eccezioni significative e che ha rivestito importanza per oltre 40 anni, lo Statuto dei diritti dei lavoratori, di cui alla legge 20 maggio 1970 n.300, sulla tutela della libertà e dignità dei prestatori d’opera.

Il legislatore passa da un ordinamento basato essenzialmente sulla prevenzione tecnologica –  che sarà abrogato esplicitamente 15 anni dopo dal D. Lgs. 106/2009 –  a un sistema di sicurezza globale che pone l’uomo, anziché la macchina, al centro della nuova organizzazione della sicurezza in azienda, codificando i doveri giuridici dell’informazione, della formazione e della partecipazione attiva dei lavoratori alla sicurezza sul lavoro.

La tecnica, l’organizzazione e l’uomo, i tre cardini della moderna prevenzione vengono tradotti con il D. Lgs. 626/1994 in un disegno giuridico di grande respiro.

Benché sia esplicitamente affermato il dovere di ciascun lavoratore di prendersi cura della salute e sicurezza propria e delle altre persone su cui possono ricadere gli effetti delle sue azioni ed omissioni, divengono elementi di responsabilità penale le omissioni del datore di lavoro afferenti la formazione e l’istruzione da dare al personale sui processi e sui mezzi impiegati per eseguirli in sicurezza.

Conformemente al principio della sicurezza a monte, si introduce il dovere per i progettisti, confermato dagli obblighi dei fabbricanti, dei fornitori e degli installatori

L’obbligatorietà di un servizio di prevenzione aziendale, interno o esterno, è uno degli aspetti più qualificante della nuova politica di prevenzione, in quanto obbliga l’imprenditore a costituire in azienda una struttura stabile di consulenza per meglio assicurare l’osservanza dei precetti di prevenzione e protezione.

Altre figure di primaria importanza da evidenziare nella 626 sono:

  • Il Medico Competente, nominato dal datore di lavoro, al quale la norma affida i controlli sanitari e le visite di monitoraggio aziendali;
  • Il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, tenuto a dare il suo contributo di professionalità ed esperienza al fine di assicurare un maggior coinvolgimento dei lavoratori nella gestione in sicurezza dei processi produttivi.

Con il D.Lgs. 14 agosto 1996 n. 494 il Legislatore delegato recepisce la direttiva europea sui cantieri temporanei e mobili, la cui filosofia è assunta successivamente nel Titolo IV del vigente Testo unico sulla sicurezza sul lavoro.

Il Committente diventa il primo destinatario del “dovere tutela” nella fase di progettazione dell’opera e in particolare al momento delle scelte tecniche, nella redazione del progetto, nell’organizzazione e gestione del cantiere. L’obbligo primario consiste nel pianificare l‘esecuzione dei lavori in sicurezza. Il decreto persegue la “effettività della tutela” dei lavoratori, individuando nel Committente, che si aggiunge agli appaltatori, nell’assicurare la tutela della salute nei luoghi di lavoro.

Le disposizioni prevedono la redazione, a cura del Committente, del Piano di sicurezza e di coordinamento (PSC), compilato da uno specialista della sicurezza. Il Coordinatore per la progettazione e per l’esecuzione del cantiere. Il Piano è costituito da una relazione tecnica e da prescrizioni operative correlate alla complessità dell’opera da realizzare ed alle eventuali fasi critiche del processo di lavorazione.

Occorre sottolineare che il PSC non è mai, specie in opere complesse, un documento chiuso e compiuto, ma un atto di una procedura in progress, che viene aggiornata dal Coordinatore man mano che se ne verifichi l’esigenza, soprattutto attraverso le verifiche di cantiere, effettuare durante l’esecuzione delle varie fasi di lavorazione.

I vari Piani di sicurezza (PSC e POS), nell’ottica del Legislatore, finiscono per integrarsi in un vero e proprio “sistema” di sicurezza, atto a coprire flessibilmente tutto l’ambito delle lavorazioni, sempre nei limiti del rischio prevedibile.

Il che non significa che i piani debbano occuparsi con previsioni specifiche di tutti i dettagli nelle singole lavorazioni, ma piuttosto che sia il Coordinatore ad individuare, avvalendosi delle speciali e titolate competenze professionali, quali siano le fasi, o i segmenti lavorativi, che presentino un grado di rischio tale da esigere prescrizioni specifiche (“fasi critiche”).

Tra le principali novità che introduce il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC) che deve essere fatto eseguire da un committente ad un tecnico abilitato solo per cantieri che vedono la presenza di almeno due imprese: nelle altre situazioni sarebbero necessari solo i Piani Operativi di Sicurezza (POS) che ogni impresa deve avere per iniziare qualsiasi cantiere.

Fondamentale questo decreto perché viene inserito alla normativa a livello nazionale il concetto di Formazione che differisce proprio da come è definito dalla semplice informazione.

La differenza tra Formazione e Informazione è sottile, ma sostanziale.

Facciamo un esempio: un datore di lavoro rimprovera un operaio, perché non sta usando l’elmetto di protezione, spiegandogli l’importanza di indossarlo e i rischi in cui incorrerebbe non portandolo. Il lavoratore ascolta, annuisce, ma è perplesso in merito al fatto che il datore di lavoro non indossa l’elmetto. Ottimo esempio di formazione, ma di pessima informazione; in qualche modo i lavoratori di un’azienda sono la diretta ed unica responsabilità del datore di lavoro, il quale in caso di infortunio, è l’unico che ne risponde anzi, che ne rispondeva in base a questo decreto.

Naturalmente tutte queste leggi nascono per motivi di tutela del cittadino.

Passato un bell’arco temporale, arriviamo al 2008: nuovo importante giro di boa, con un D.Lgs.n.81 del 09/04/2008 si vanno a ridefinire, ristrutturare, armonizzare, standardizzare e in qualche modo sistemare e migliorare tutte le normative precedentemente vigenti in tema di sicurezza sul lavoro. Nei fatti si tratta di un vero e proprio “Codice della salute e della sicurezza sul lavoro”.

Il campo di applicazione del decreto è molto vasto, in quanto comprende qualsiasi impresa (anche autonoma o familiare), tutti i lavoratori (inclusi quelli aventi contratto a progetto) e ogni tipologia di rischio.

Veniva espressa quindi l’esigenza di una normativa italiana nuova efficace e aggiornata, che divenisse riferimento unico per il mondo del lavoro.

Ecco perché l’81/2008 indicato – anziché come decreto legislativo – come Testo Unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro” (noto anche con l’acronimo TUSL) è un complesso di norme della Repubblica Italiana, ancora in vigore: ha riassunto e ordinato in sé le normative antecedenti. Nel TUSL, il legislatore indica ad aziende, datori di lavoro e lavoratori, quanto sia essenziale e obbligatorio far riferimento alla prevenzione, alla tutela della salute fisica e mentale, in ogni ambiente di lavoro.

Il Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n.81, in seguito coordinato con il D. Lgs.03 agosto 2009, n.106, ha sostituito il vecchio D. Lgs.626/94, rappresentando, ora il principale riferimento normativo in Italia, sulla sicurezza in ambito lavorativo.

Tra gli elementi innovativi introdotti nel Testo Unico sulla sicurezza rispetto ai precedenti decreti troviamo:

  • Individuazione delle misure generali di tutela del sistema di sicurezza aziendale, integrandole con quelle relative a specifici rischi, ovvero settori di attività (es. movimentazione manuale di carichi, videoterminali, agenti fisici, biologici o cancerogeni, ecc.);
  • Il Documento della Valutazione dei Rischi deve essere organizzato come un sistema di gestione della prevenzione. La centralità del sistema si basa sull’attività della valutazione dei rischi nell’ambito del sistema di gestione della prevenzione. Valutare i rischi – obbligo non delegabile da parte del datore di lavoro – consiste nell’attribuire valore, peso, misura di sicurezza attraverso un’analisi tecnica, scientifica ed organizzativa, considerazione dello stress lavoro correlato nella valutazione dei rischi;
  • Installazione segnali di avvertimento e di sicurezza;
  • La regolare manutenzione di ambienti, attrezzature, impianti, con particolare riguardo ai dispositivi di sicurezza in conformità alla indicazione dei fabbricanti;
  • Precisazione di possibilità, modalità e limiti della delega di funzioni del datore di lavoro ai dirigenti;
  • Rafforzamento delle prerogative del Rappresentante dei Lavoratori;
  • Conferma ed esplicitazione del ruolo del Medico competente nei processi di valutazione dei rischi;
  • Conferma (art.25-septies del Dgls.231/01) della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle assicurazioni a seguito di omicidio colposo, lesioni gravi e gravissime,
  • L’obbligo di addestramento. Ovvero la prova pratica “formazione on the job” che nient’altro è che l’obbligo di far provare. L’addestramento si effettua solo in alcune circostanze: quando vengono utilizzate attrezzature.

In aggiunta al testo unico il codice penale fornisce i mezzi per punire atti e comportamenti omissivi che causano l’infortunio o la morte del lavoratore, con reati di lesioni colpose e omicidio colposo.

Nel 2009 e negli anni successivi sono state effettuate ulteriori modifiche al D. Lgs.81/08, la prima D. Lgs.106/09, la più recente con (la Conferenza Stato-Regioni del 21 dicembre 2011 Accordo tra il Trento e Ministro del Lavoro e delle politiche sociali, il Ministero della Salute. Le Regioni e le Province autonome Bolzano sui corsi fi formazione per lo svolgimento diretto, da parte del datore di lavoro, dei compiti di prevenzione e protezione dai rischi, ai sensi dell’art. 34, commi 2 e 3, del D.lgs. 9 aprile 2008, n.81), che rispetto alla Formazione la normativa a livello nazionale demanda appunto all’accordo in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, Regioni e Province autonome, la definizione della durata, dei contenuti minimi e delle modalità della formazione che il datore di lavoro deve assicurare in materia di salute e sicurezza a ciascun lavoratore (inclusi preposti e dirigenti) e dei datori di lavoro che volgono personalmente i compiti di prevenzione e protezione dei rischi.

Pertanto l’addestramento è ancora una forma diversa rispetto alla formazione e all’informazione: quindi se l’informazione è la trasmissione del sapere, insieme alla formazione sono gli atteggiamenti che ne derivano, l’addestramento rispecchia le competenze vere e proprie: l’insieme delle attività dirette a far apprendere ai lavoratori l’uso corretto di attrezzature, macchine, impianti, sostanza, dispositivi (anche di protezione personale) e le procedure di lavoro.

L’addestramento viene effettuato da persona esperta e sul luogo di lavoro. La qualità della formazione passa anche soprattutto attraverso la scelta e la verifica di docenti qualificati, la realizzazione di percorsi ad hoc è determinata, in generale dalla genuinità di un percorso formativo.