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Roberto Di Maulo segretario generale Fismic Confsal

I VERI NODI SONO SFRUTTAMENTO E LAVORO NERO
IL SEGRETARIO GENERALE, DI MAULO, COMMENTA L’OPERATO DEL GOVERNO

Dopo la pausa estiva, viene fatto il punto della situazione dal segretario generale nazionale Roberto Di Maulo in merito agli ultimi provvedimenti del governo, dal punto di vista del lavoro, e la situazione economica sia del nostro Paese che dell’Europa.

Domanda. Che situazione vi è alla ripresa di settembre?

Risposta. Premesso che il sindacato giudica sempre un governo dai fatti e non dalla parte politica che lo compone, e questo vale a maggior ragione per un sindacato autonomo come è la Confsal, la situazione economico – sociale è preoccupante, essendo terminata la fase di espansione dell’economia iniziata nel 2015.

Quali provvedimenti ha preso finora il nuovo governo?

Finora ai roboanti proclami pre-elettorali volti a raccogliere consensi è stato promulgato un solo atto: il cosiddetto decreto dignità e l’anticipo del decreto “mille proroghe”, ancora in attesa di approvazione. C’è stato inoltre troppo “chiacchiericcio” sui social, in una permanente campagna elettorale in cui i ministri si distinguono per alimentare odio e divisione nel Paese mentre ci sarebbe bisogno di toni più pacati e volti a unire piuttosto che a dividere.

Che ne pensa del decreto dignità?

Innanzitutto occorre dire che sul lavoro si dovrebbe sempre evitare di intervenire per decretazione di urgenza, soprattutto quando non c’è nessuna urgenza. Infatti i recenti dati Inps dimostrano che nel secondo trimestre 2018 c’è stato un crollo nelle richieste di Cig, tornata ai livelli di prima della crisi 2008, ma soprattutto che nel primo semestre ci sono state 84.000 conversioni da tempo determinato a tempo indeterminato con una crescita del 58,7% sull’anno precedente. Questi dati dimostrano inequivocabilmente che non c’era nessun motivo di urgenza che pretendesse una decretazione sui contratti a tempo determinato, che il Jobs Act è stata una buona legge e che la flessibilità non è sinonimo di precariato.

Non c’è problema di precarietà, quindi, secondo lei?

Assolutamente sì, ma bisogna guardare altrove rispetto a dove voleva intervenire il decreto di Di Maio. Abbiamo uno straordinario problema di lavoro nero e di sfruttamento di mano d’opera illegale a basso costo e fuori da ogni copertura contrattuale come è stato drammaticamente dimostrato dai 16 morti sul lavoro accaduti in provincia di Foggia che sono stati rapidamente dimenticati da tutti. Lavoro nero e sfruttamento sono due vere piaghe del Paese su cui non interviene nessuno, né governo e neanche il sindacato. Gli ispettori del lavoro vengono istruiti a reprimere il pluralismo sindacale e rafforzare il preteso monopolio delle maggiori confederazioni, mentre nei campi, nei laboratori e nei sottoscala continua a prosperare un’economia illegale che sottrae risorse alla contabilità del PIL, ma non alla contabilità dei morti sul lavoro.

Quindi?

Il decreto Di Maio è figlio di un ideologismo novecentesco che si riteneva superato, irrigidisce il mercato del lavoro e, paradossalmente, aumenterà la precarietà in quanto le aziende in prossimità del raggiungimento dei 12 mesi non rinnoveranno quei contratti, ma sostituiranno quei lavoratori con altri.

Cosa pensa delle idee del governo sul fisco?

Non è ancora chiaro quale sarà alla fine la linea di riforma fiscale. Di sicuro non ci sarà la tanto promessa Flat Tax, ma tasse su tre scaglioni. Preoccupa la linea in generale, in quanto il grosso del risparmio fiscale comunque avverrà sui redditi alti con una penalizzazione per i redditi medio e bassi. In particolare se si azzerassero gli 80 euro di Renzi e si rivedessero in profondità il sistema di deduzioni e detrazioni, ci sarà un aggravio del reddito per via fiscale per i redditi fino a 30mila euro l’anno. Insomma una riforma alla Hood Robin, che toglie ai poveri per dare ai ricchi.

Sulle pensioni?

Anche qui siamo in un clima di incertezza totale. L’unica certezza che abbiamo è che la promessa elettorale di cancellazione della Legge Fornero resterà tale e che coloro che avevano votato per chi ha fatto certe promesse resterà ancora una volta gabbato. Resta allo studio del governo una specie di surrogato, vale a dire l’introduzione di quota 100, mitigata però dall’obbligo dei 64 anni di età minima per accedervi che riduce drasticamente la platea dei possibili pensionandi. Per finanziare i circa 3miliardi di euro l’anno c’è il taglio delle cosiddette pensioni d’oro, di dubbia costituzionalità che darebbe un introito di soli 300milioni; si ventila inoltre la soppressione di tutte le forme attuali di pensionamento anticipato per cause particolari (APE, precari, amianto, ecc.) che avevano il pregio di intervenire per alleggerire situazioni sociali di particolare disagio. Inoltre il taglio delle cosiddette pensioni d’oro, se portato, a 2.000 o 4.000 euro, colpendo soprattutto i percettori di pensione del Centro Nord del Paese e se ci fosse poi per coloro che optano per questo regime il passaggio dal retributivo al contributivo, ci sarebbero delle riduzioni dell’assegno pensionistico che potrebbero arrivare al 15%. Infine, c’è da considerare che gran parte delle pensioni che subirebbero dei tagli sono quelle già ferme da decine d’anni per effetto della mancata rivalutazione rispetto all’inflazione per le pensioni medio alte già in atto.

E il reddito di cittadinanza?

A parte che più passano i giorni e più sembra passare una versione molto soft di quello promesso in campagna elettorale e che aveva provocato delle file ai nostri Caf nei giorni successivi alle elezioni. C’è da dire che se è solo un cambio di nome al REI varato dal governo Gentiloni, come sembra, sarebbe ben poca cosa. Inoltre, se fosse nella versione descritta in campagna elettorale dal partito di Di Maio, garantirebbe 780 euro netti al mese; ebbene la pensione per un reddito medio che ha lavorato un’intera vita eccede di poco gli 800 euro netti. Non è corretto che un lavoratore dopo un’intera vita di lavoro percepisca appena qualche decina di euro in più di chi non ha mai lavorato.

Sulla politica industriale?

Come già affermato, c’è stato l’errore storico di associare la flessibilità al precariato. Ma c’è da aggiungere che per essere la seconda potenza industriale d’Europa e la settima al mondo, l’assenza di un’idea di possibile rilancio e centralità dell’industria del nostro Paese è preoccupante. Basti vedere le contorsioni pericolosissime sul caso dell’Ilva di Taranto (il più grande produttore d’acciaio d’Europa) e della Ast di Terni che rischiano la chiusura e il ridimensionamento, facendoci diventare di colpo, come Paese, da esportatore netto d’acciaio a dipendente dell’acciaio tedesco e indiano in un momento di congiuntura economica favorevole e quindi di crescita di domanda di acciaio. Ma oltre l’Ilva, casi come quelli della TAP, della TAV e delle infrastrutture.

A proposito del dramma del ponte Morandi?

Prima di tutto esprimo vicinanza alle famiglie dei defunti e di coloro che hanno perduto la casa. Poi, trovo sia disarmante in uno stato di diritto la facilità con cui a caldo si costruiscano responsabili prima dell’accertamento giudiziario delle responsabilità. La legge del taglione è quanto di peggio possa manifestarsi in un Paese come il nostro che è una culla del diritto. Inoltre, intervenire a caldo di un dramma come quello per rilanciare delle improbabili nazionalizzazioni di settori interi dell’economia (penso ai servizi, ma ad Alitalia, ecc.) è il peggior messaggio che diamo agli investitori internazionali che anche per questo stiamo allontanando dall’Italia.

Come analizza lo scenario dei mercati internazionali?

Non sono un analista finanziario, ma un semplice sindacalista. Mi limito ai numeri: 720 miliardi di Euro disinvestiti in Italia in due mesi, spread cresciuto di oltre 100 punti (costo per l’economia di 4 miliardi l’anno), Borsa scesa del 14,94%, rendimento dei Titoli di Stato sono cresciuti del 53% (maggiori oneri finanziari per lo Stato) e questi sono solo i dati più evidenti. La somma di questi e di altri numeri fornisce la cifra dell’affidabilità del nostro Paese nel mondo. Non possiamo prendercela e gridare al complotto quando il problema lo creano le dichiarazioni quotidiane di Salvini e Di Maio. Soprattutto ove nel Def verranno tolte le detrazioni e gli 80 euro del bonus Renzi, si renderà indispensabile la mobilitazione dei lavoratori.

In questo quadro, cosa accade all’Europa?

L’Europa non è stato solo il grande scudo che ha protetto la nostra economia, quella greca, spagnola e dei Paesi dell’ex Europa dell’Est nei momenti di crisi, ma è soprattutto l’Europa dei padri fondatori che ha garantito al nostro continente il più lungo periodo di pace e di prosperità come non era mai accaduto nella storia dell’umanità. Oltre settanta anni senza guerre, il nostro continente non l’aveva mai avuto nella storia. Certo non tutto va bene, sarebbe necessario riformare in profondità l’Unione Europea, a partire dal sistema istituzionale facendo sì da rimanere vicini a quei valori che ispirarono nel dopoguerra i sottoscrittori del Patto di Roma. Per andare in quella direzione, io credo che bisogni saper abbandonare i vantaggi elettorali del momento ottenuti con proclami altisonanti anti Europa, abbandonare alleati pericolosi e perniciosi come Orban e i paesi di Visegrad (che sono percettori netti nel bilancio della UE) e saper dialogare con Francia e Germania come stanno facendo con profitto paesi simili al nostro come Spagna, Portogallo e addirittura anche la Grecia che rischia di scavalcarci nei rating dopo avere rischiato il dafault. Per fare questo, prima nel nostro Paese dovremo ritrovare il piacere di discutere insieme, senza odio, senza farci avvelenare quotidianamente dalle bufale contenute nei social network.

Lei è fiducioso?

Certamente sì, credo che il tempo sia galantuomo però dobbiamo darci da fare per aiutarlo a scorrere positivamente. Solo l’impegno, lo studio e il confronto democratico possono far sì che passi la nottata senza danni irreparabili.

Di Maria Elena Marsico

Articolo su ItaliaOggi del 9 settembre. Scarica il file pdf